AltroSguardo design è un progetto nato dalle menti creative di Mattia Menegatti e Mara Melloncelli, con la convinzione che la realtà e le cose che ci circondano non sempre sono ciò che sembrano, basta guardarle con occhi diversi, osservandole appunto con un altro sguardo. AltroSguardo design compie una personale ricerca e selezione per il recupero di oggetti apparentemente ormai inutili o inutilizzabili, secondo una vocazione poliedrica che proviene dai percorsi individuali dei suoi componenti: musica, teatro di ricerca, comunicazione, design e artigianato che si contaminano. Il lavoro consiste nel trasporre in realtà quello che l’istinto li suggerisce, cercando soluzioni pratiche a partire da una ri-concettualizzazione che supera la nozione di progresso nella sua accezione perpetuamente positiva. Il progresso non sempre è positivo e di sicuro non lo è per tutti. In questo senso hanno scelto di rifiutare il rifiuto, e quindi di ripensare-riutilizzare-riciclare i materiali e gli oggetti per farli entrare nelle case con una funzione da svolgere. L'intento è di creare oggetti utili, evitando la tendenza ad attribuire alle proprie creazioni significati e concetti astratti, sacrificandone spesso funzionalità e praticità. Promuovono quindi il recupero come atto di impegno verso uno stile di vita meno consumistico, teso alla sostenibilità concepita in senso olistico. Un contenitore globale in cui far interagire cultura, economia, politica. I loro prodotti non partono da un progetto predeterminato ma da quello che c’è, che si incontra lungo il percorso e da ciò che potrebbe diventare. Spesso è l’incontro di qualcosa di imprevisto mentre si cerca altro. Altre volte si tratta di un processo che definiscono “Design open source”. Un percorso creativo durante il quale un oggetto di design prodotto su scala industriale e destinato ad un utilizzo specifico viene trasformato in qualcos’altro con diversa funzione. Lavorano molto sull’immaginario, sulla percezione e sull’emozionalità. Si tratta, in questo senso, di un’ecologia della comunicazione e della mente. Vengono utilizzati materiali poveri, oggetti di scarto recuperati dalla strada, nei mercatini delle pulci o direttamente dalle persone che li buttano. Sono vecchi mobili, abiti e tessuti, oggetti e accessori che, attraverso un progetto di conversione, vengono trasformati, assemblati, riportati a diversa vita. Ne nascono singolari creazioni e complementi d’arredo, pezzi unici che acquistano nuova funzione. Il concetto è recuperare le storie, raccogliere ciò che si può far rivivere con particolare attenzione al passato, alla rielaborazione e al recupero. Il risultato è una collezione di oggetti spesso bizzarri, a metà strada fra arte e design. Pezzi unici che raccontano storie.
Rispondono all’intervista: Mattia Menegatti & Mara Melloncelli di AltroSguardo design
D- Cos'è per voi la creatività?
Partendo dal presupposto oggettivo che “non si inventa più niente di nuovo”, per noi creatività significa indagare le potenzialità di ogni oggetto, materiale o situazione. La creatività è un “esercizio” trasversale a tutta l’esistenza. Se l’essere umano non fosse stato creativo si sarebbe estinto. La vita stessa ci mette continuamente di fronte alla creatività come scelta necessaria per il cambiamento. Anche oggi, che si potrebbe pensare di essere al sicuro come società, sarebbe necessario un grande sforzo creativo collettivo per non andare incontro alla distruzione come stiamo invece facendo. Naturalmente la creatività può essere fine a se stessa o funzionale a piccoli o grandi progetti. Per noi è necessario avere un disegno, una cornice di coerenza nelle cose che facciamo, entro cui liberare la creatività. A volte questa può esprimersi con l’attribuzione di nuovo significati o nuove funzioni agli oggetti. Altre volte è un processo di “serendipità” che ci fa trovare qualcosa mentre cerchiamo tutt’altro. Allora la creatività è l’abilità di saper accogliere questo momento e sperimentarlo in un contesto specifico.
D- Come vedete l'evoluzione del design e della produzione di pezzi unici personalizzati?
Secondo il nostro punto di vista la tendenza a realizzare pezzi unici, sempre più personalizzati, è destinata a diventare espressione di una personalità individuale in cui può riconoscersi un’identità sociale collettiva. La circolazione dei saperi e delle informazioni, propria delle nostre società, genera sicuramente molte nuove possibilità anche solo rispetto a dieci anni fa. E’ naturale quindi che le idee si contaminino l’un l’altra molto velocemente, da un lato accrescendo le opportunità sociali, dall’altro indebolendo i legami, fondati sempre più sulla velocità d’interazione virtuale, più che su solide radici di conoscenza diretta. Ogni creativo, il designer come l’artista, cerca in questo contesto uno scopo personale, un senso nelle proprie creazioni. Cerca la propria identità fra le miriadi di altre identità. Il paradosso si viene a creare nel cercare di mantenere la propria identità e personalità, nel mare magnum di contaminazioni ed influenze che, a livello conscio e inconscio, subiamo nel processo creativo. Perciò è fondamentale individuare la cornice di coerenza entro cui lavorare. L’importanza di proporre qualcosa che non sia puramente estetico ma che stimoli l’intelligenza emotiva è per noi di primaria importanza. Nei nostri lavori l’accento è proprio sul legame tra il riconoscere una propria dimensione personale nel prodotto o nel progetto, legato al nostro vissuto/ tradizione e la memoria, o la premonizione, di una identità collettiva.
D- Il design è modellazione della forma?
Non solo e non necessariamente. Anzi, il design del futuro dovrà sempre più legarsi ai contenuti, ai messaggi che la forma vuole veicolare. Le tecnologie ormai sempre più alla portata di tutti tendono ad equiparare le competenze tecniche, da qui la necessità di idee nuove, diverse, che facciano emergere il concetto, e quindi la sostanza. Il termine “design” sta assumendo le più svariate (e a volte paradossali) connotazioni. Nuovi designer e nuovi progetti vengono presentati a decine ogni giorno. Ci fece sorridere un designer che abbiamo conosciuto qualche tempo fa il quale disse: “a Milano ormai sono tutti designer. Se provi a parlare con un salumiere sicuramente ti dirà che è un meat-designer”. Il termine è ormai inflazionato, rischia di essere un’etichetta modaiola svuotata di significato. Non vogliamo essere di quelli che si definiscono designer perché non saprebbero come altro chiamarsi.
D- Da cosa traete ispirazione per i vostri progetti?
Dalle contaminazioni “della strada”. A quello che vi accade. Alla gente che la percorre, che ci lavora. I nostri progetti hanno una matrice fatta di diversi elementi, frutto dei nostri percorsi esperienziali: musica, teatro di ricerca, comunicazione, design e artigianato. La nostra curiosità ci ha sempre spinto a cercare. Nello studio, nel lavoro, nelle passioni, negli ideali. Altrosguardo ha raccolto tutti questi input, li ha rielaborati e ha prodotto i progetti che stiamo facendo conoscere.
D- Quale designer vi ha più influenzato nel vostro stile?
Dovendo fare un nome, sicuramente Bruno Munari è uno dei nostri punti di riferimento. Un grande artista, un educatore intuitivo, un ottimo comunicatore dalla mentalità eclettica. Alcune sue frasi basterebbero a spiegare gran parte del nostro lavoro. (“Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch'io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.” Bruno Munari, Verbale scritto, 1992).
D- Che differenza c'è oggi per te tra arte e design?
Alla base di entrambi c’è la volontà o meglio la necessità di trasmettere emozioni attraverso la creatività. Fondamentalmente l’artista e il designer sono egocentrici nei confronti della propria sensibilità e perseguono gli stessi scopi su percorsi apparentemente diversi che inevitabilmente si intersecano. Tuttavia una differenza fondamentale, forse, sta nella funzione ultima dell’oggetto/progetto. Un’opera d’arte può anche non essere capita, un progetto o un prodotto di design che non viene compreso ha in parte fallito la sua missione. Un’opera d’arte può non essere funzionale e, allo stesso modo un progetto di design può non avere nulla di artistico anche se ovviamente è meno accattivante.
D- Si parla molto di Eco-design: un progetto realizzabile e coinvolgente o soltanto una moda a breve termine?
Ci piacerebbe che l’enorme potenzialità della dimensione ecologica del design venisse convogliata in produzioni concrete, e non solo in affascinanti prototipizzazioni destinate a riempire i saloni delle fiere. E’ anche vero che se non se ne parla è difficile cambiare le cose, e questo è il lato buono di questa moda. Eco-design, Design del riuso, Recupero… ultimamente sono parole che si sentono un po’ dappertutto. L’opinione pubblica viene finalmente messa di fronte alla insostenibilità delle nostre consuetudini di vita. Ma cosa si fa per cambiare le cose? Cosa fa l’industria del design e cosa fanno le Pubbliche Amministrazioni, le Università i Centri di Design per dare spazio a questi progetti?. Occorrono sinergie, occorrono investimenti. Convegni e congressi non cambieranno le cose. I designer indipendenti devono pagarsi le esposizioni se vogliono far conoscere i propri prototipi. Non lo troviamo giusto. I soldi destinati a pagare i relatori dei famosi convegni potrebbero essere usati per permettere a nuovi creativi di partecipare gratis a questi eventi. Oltre alle idee e al lavoro per realizzarle devono pagare anche per farle vedere. Il circolo virtuoso che bisognerebbe attivare per avere un impatto efficace sull’ambiente e sugli stili di vita in generale richiede uno sforzo immane da parte di tutto il sistema.
D- Il valore del mobile antico sta scomparendo, come può ritornare la cultura del restauro e del mantenimento di mobili e oggetti d'epoca, che portano con sé pezzi della nostra storia?
A nostro avviso non sta scomparendo il valore del mobile antico ma sta crescendo invece la tendenza ad essere succubi di una cultura del low cost che tende ad omogeneizzare gli stili dell’abitare e dell’arredare. Oggi le case dei giovani sono quasi tutte simili, arredate con prodotti di colossi, che propongono design democratico a prezzi bassissimi e scarsa qualità. I materiali come il legno e le tecniche costruttive artigianali utilizzati in passato, hanno invece una qualità notevole, per non parlare dei vantaggi in termini di sostenibilità ambientale. E’ anche vero che il mercato dell’antiquariato e del modernariato è andato alle stelle, e ben pochi giovani possono permettersi anche solo un pezzo nella propria casa. E’ un peccato, perché come nell’abbigliamento, si tende all’omologazione. Invece si dovrebbe rivalutare il mobile restaurato o recuperato, valorizzandone la funzione propria della tradizione. In un certo senso è lo specchio di una perdita di memoria storica sociale, oltre che del modo di agire consumistico globalizzante. Far arrivare alle persone il messaggio che acquistando un pezzo usato e rielaborato secondo gusti individuali la propria casa assume personalità ed è motivo di distinzione dalle mode e dall’omologazione industriale è un po’ la nostra filosofia. La crisi economica sta d’altra parte mettendo in risalto il valore dell’usato e del baratto. Ci piace pensare che questo periodo complesso, generi più sensibilità e apertura verso una cultura di consumo critico e più consapevole.
D- E infine parlateci dei vostri progetti ed eventi futuri...
Stiamo lavorando ad un progetto espositivo con una più definita matrice artistica. Speriamo di poterlo proporre entro l’anno. Stiamo al contempo approfondendo il progetto di design open source, di cui la collezione “Messa in luce” fa parte. Ci piacerebbe consolidare le sinergie con alcuni gruppi indipendenti che abbiamo conosciuto agli ultimi eventi cui abbiamo partecipato (Young Designer Home in Vie di Fuga di Vicenza e Onirica Festival di Verona). Forse la partecipazione a Fuori Salone di Milano, chissà…
Lo Staff myArtistic ringrazia per la disponibilità:
Altrosguardo design
Officina creativa
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Rispondono all’intervista: Mattia Menegatti & Mara Melloncelli di AltroSguardo design
D- Cos'è per voi la creatività?
Partendo dal presupposto oggettivo che “non si inventa più niente di nuovo”, per noi creatività significa indagare le potenzialità di ogni oggetto, materiale o situazione. La creatività è un “esercizio” trasversale a tutta l’esistenza. Se l’essere umano non fosse stato creativo si sarebbe estinto. La vita stessa ci mette continuamente di fronte alla creatività come scelta necessaria per il cambiamento. Anche oggi, che si potrebbe pensare di essere al sicuro come società, sarebbe necessario un grande sforzo creativo collettivo per non andare incontro alla distruzione come stiamo invece facendo. Naturalmente la creatività può essere fine a se stessa o funzionale a piccoli o grandi progetti. Per noi è necessario avere un disegno, una cornice di coerenza nelle cose che facciamo, entro cui liberare la creatività. A volte questa può esprimersi con l’attribuzione di nuovo significati o nuove funzioni agli oggetti. Altre volte è un processo di “serendipità” che ci fa trovare qualcosa mentre cerchiamo tutt’altro. Allora la creatività è l’abilità di saper accogliere questo momento e sperimentarlo in un contesto specifico.
D- Come vedete l'evoluzione del design e della produzione di pezzi unici personalizzati?
Secondo il nostro punto di vista la tendenza a realizzare pezzi unici, sempre più personalizzati, è destinata a diventare espressione di una personalità individuale in cui può riconoscersi un’identità sociale collettiva. La circolazione dei saperi e delle informazioni, propria delle nostre società, genera sicuramente molte nuove possibilità anche solo rispetto a dieci anni fa. E’ naturale quindi che le idee si contaminino l’un l’altra molto velocemente, da un lato accrescendo le opportunità sociali, dall’altro indebolendo i legami, fondati sempre più sulla velocità d’interazione virtuale, più che su solide radici di conoscenza diretta. Ogni creativo, il designer come l’artista, cerca in questo contesto uno scopo personale, un senso nelle proprie creazioni. Cerca la propria identità fra le miriadi di altre identità. Il paradosso si viene a creare nel cercare di mantenere la propria identità e personalità, nel mare magnum di contaminazioni ed influenze che, a livello conscio e inconscio, subiamo nel processo creativo. Perciò è fondamentale individuare la cornice di coerenza entro cui lavorare. L’importanza di proporre qualcosa che non sia puramente estetico ma che stimoli l’intelligenza emotiva è per noi di primaria importanza. Nei nostri lavori l’accento è proprio sul legame tra il riconoscere una propria dimensione personale nel prodotto o nel progetto, legato al nostro vissuto/ tradizione e la memoria, o la premonizione, di una identità collettiva.
D- Il design è modellazione della forma?
Non solo e non necessariamente. Anzi, il design del futuro dovrà sempre più legarsi ai contenuti, ai messaggi che la forma vuole veicolare. Le tecnologie ormai sempre più alla portata di tutti tendono ad equiparare le competenze tecniche, da qui la necessità di idee nuove, diverse, che facciano emergere il concetto, e quindi la sostanza. Il termine “design” sta assumendo le più svariate (e a volte paradossali) connotazioni. Nuovi designer e nuovi progetti vengono presentati a decine ogni giorno. Ci fece sorridere un designer che abbiamo conosciuto qualche tempo fa il quale disse: “a Milano ormai sono tutti designer. Se provi a parlare con un salumiere sicuramente ti dirà che è un meat-designer”. Il termine è ormai inflazionato, rischia di essere un’etichetta modaiola svuotata di significato. Non vogliamo essere di quelli che si definiscono designer perché non saprebbero come altro chiamarsi.
D- Da cosa traete ispirazione per i vostri progetti?
Dalle contaminazioni “della strada”. A quello che vi accade. Alla gente che la percorre, che ci lavora. I nostri progetti hanno una matrice fatta di diversi elementi, frutto dei nostri percorsi esperienziali: musica, teatro di ricerca, comunicazione, design e artigianato. La nostra curiosità ci ha sempre spinto a cercare. Nello studio, nel lavoro, nelle passioni, negli ideali. Altrosguardo ha raccolto tutti questi input, li ha rielaborati e ha prodotto i progetti che stiamo facendo conoscere.
D- Quale designer vi ha più influenzato nel vostro stile?
Dovendo fare un nome, sicuramente Bruno Munari è uno dei nostri punti di riferimento. Un grande artista, un educatore intuitivo, un ottimo comunicatore dalla mentalità eclettica. Alcune sue frasi basterebbero a spiegare gran parte del nostro lavoro. (“Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch'io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.” Bruno Munari, Verbale scritto, 1992).
D- Che differenza c'è oggi per te tra arte e design?
Alla base di entrambi c’è la volontà o meglio la necessità di trasmettere emozioni attraverso la creatività. Fondamentalmente l’artista e il designer sono egocentrici nei confronti della propria sensibilità e perseguono gli stessi scopi su percorsi apparentemente diversi che inevitabilmente si intersecano. Tuttavia una differenza fondamentale, forse, sta nella funzione ultima dell’oggetto/progetto. Un’opera d’arte può anche non essere capita, un progetto o un prodotto di design che non viene compreso ha in parte fallito la sua missione. Un’opera d’arte può non essere funzionale e, allo stesso modo un progetto di design può non avere nulla di artistico anche se ovviamente è meno accattivante.
D- Si parla molto di Eco-design: un progetto realizzabile e coinvolgente o soltanto una moda a breve termine?
Ci piacerebbe che l’enorme potenzialità della dimensione ecologica del design venisse convogliata in produzioni concrete, e non solo in affascinanti prototipizzazioni destinate a riempire i saloni delle fiere. E’ anche vero che se non se ne parla è difficile cambiare le cose, e questo è il lato buono di questa moda. Eco-design, Design del riuso, Recupero… ultimamente sono parole che si sentono un po’ dappertutto. L’opinione pubblica viene finalmente messa di fronte alla insostenibilità delle nostre consuetudini di vita. Ma cosa si fa per cambiare le cose? Cosa fa l’industria del design e cosa fanno le Pubbliche Amministrazioni, le Università i Centri di Design per dare spazio a questi progetti?. Occorrono sinergie, occorrono investimenti. Convegni e congressi non cambieranno le cose. I designer indipendenti devono pagarsi le esposizioni se vogliono far conoscere i propri prototipi. Non lo troviamo giusto. I soldi destinati a pagare i relatori dei famosi convegni potrebbero essere usati per permettere a nuovi creativi di partecipare gratis a questi eventi. Oltre alle idee e al lavoro per realizzarle devono pagare anche per farle vedere. Il circolo virtuoso che bisognerebbe attivare per avere un impatto efficace sull’ambiente e sugli stili di vita in generale richiede uno sforzo immane da parte di tutto il sistema.
D- Il valore del mobile antico sta scomparendo, come può ritornare la cultura del restauro e del mantenimento di mobili e oggetti d'epoca, che portano con sé pezzi della nostra storia?
A nostro avviso non sta scomparendo il valore del mobile antico ma sta crescendo invece la tendenza ad essere succubi di una cultura del low cost che tende ad omogeneizzare gli stili dell’abitare e dell’arredare. Oggi le case dei giovani sono quasi tutte simili, arredate con prodotti di colossi, che propongono design democratico a prezzi bassissimi e scarsa qualità. I materiali come il legno e le tecniche costruttive artigianali utilizzati in passato, hanno invece una qualità notevole, per non parlare dei vantaggi in termini di sostenibilità ambientale. E’ anche vero che il mercato dell’antiquariato e del modernariato è andato alle stelle, e ben pochi giovani possono permettersi anche solo un pezzo nella propria casa. E’ un peccato, perché come nell’abbigliamento, si tende all’omologazione. Invece si dovrebbe rivalutare il mobile restaurato o recuperato, valorizzandone la funzione propria della tradizione. In un certo senso è lo specchio di una perdita di memoria storica sociale, oltre che del modo di agire consumistico globalizzante. Far arrivare alle persone il messaggio che acquistando un pezzo usato e rielaborato secondo gusti individuali la propria casa assume personalità ed è motivo di distinzione dalle mode e dall’omologazione industriale è un po’ la nostra filosofia. La crisi economica sta d’altra parte mettendo in risalto il valore dell’usato e del baratto. Ci piace pensare che questo periodo complesso, generi più sensibilità e apertura verso una cultura di consumo critico e più consapevole.
D- E infine parlateci dei vostri progetti ed eventi futuri...
Stiamo lavorando ad un progetto espositivo con una più definita matrice artistica. Speriamo di poterlo proporre entro l’anno. Stiamo al contempo approfondendo il progetto di design open source, di cui la collezione “Messa in luce” fa parte. Ci piacerebbe consolidare le sinergie con alcuni gruppi indipendenti che abbiamo conosciuto agli ultimi eventi cui abbiamo partecipato (Young Designer Home in Vie di Fuga di Vicenza e Onirica Festival di Verona). Forse la partecipazione a Fuori Salone di Milano, chissà…
Lo Staff myArtistic ringrazia per la disponibilità:
Altrosguardo design
Officina creativa
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Sito: www.altrosguardodesign.it
Mail: altrosguardo@lifegate.it
Myspace: http://www.myspace.com/altrosguardo
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Post realizzato da myArtistic Blog Design Atelier creativo di Padova che oltre a gestire un blog d'Arte e Design realizza decorazioni su mobili antichi restaurati e crea pezzi innovativi con arte, design e tecnologie all'avanguardia. Contatti: www.myartistic.it info@myartistic.it
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